IL CONFLITTO TRA RUSSIA E UCRAINA

 

Sta accadendo di nuovo. C’è sempre chi rivendica qualcosa perché un paio di secoli fa era sua, e qualcun altro che non gliela vuole concedere perché nel frattempo i termini della questione sono cambiati. Si aggiunga un po’ di retorica nazionalistica, qualche bandiera riesumata, discorsi enfatici, un pizzico di malinteso entusiasmo patriottico e la guerra è servita. Il conflitto tra Russia e Ucraina, che rischia di infiammare il mondo, non fa eccezione. Come sempre i motivi non corrispondono alle dichiarazioni dei leader e comunque, qualunque giustificazione invochi, chi invade vìola gli accordi internazionali e non lo fa per liberare o difendere qualcuno.

Gli storici ci spiegheranno come è andata, nel frattempo arriva la tragica conferma di quello che abbiamo sempre saputo: per la Pace si lavora tutti i giorni, specialmente quando non accade niente. Sottovalutare il grido di allarme di quanti mettono all’ordine del giorno la necessità di aprirsi al dialogo prima che i carri armati abbiamo fatto il pieno di carburante può risultare letale. Nazioni Unite e Consiglio d’Europa, dove la Fondazione Campana dei Caduti è presente con lo status di osservatore, con determinazione, e in tempi di Pace, portano avanti un’azione diplomatica continua nelle regioni di crisi, proprio per evitare che il fiume carsico del nazionalismo riemerga per alimentare guerre economiche, come sempre sono le guerre. E alle organizzazioni che lavorano sul territorio chiedono di fare la propria parte, specialmente quando le armi tacciono.

Qualche anno fa sul Colle di Miravalle salirono due Grandi maestri di scacchi, uno russo e uno ucraino. I nomi in questo momento non contano. Erano due uomini che conoscevano la situazione nei loro Paesi e sapevano che poteva precipitare in qualunque momento. Hanno fatto quello che sanno fare. Hanno giocato a scacchi, rispettato le regole, si sono stretti la mano e hanno accettato il risultato. Le azioni simboliche non servono a fermare i missili terra-aria, ma possono aiutare a riconoscere l’uomo che c’è dietro il nemico. I soldati vestono tutti uguali. Non uccidono una persona, colpiscono un’indistinta massa cromaticamente uniforme, appunto “uniforme”. Il ruolo della società civile è quello di aiutare a guardare i volti che stanno dietro ai fucili. Prima che il colpo venga messo in canna.

Ora è il tempo della diplomazia, che non ha evitato le bombe ma non può arrendersi. Da Strasburgo Marija Pejčinović Burić, segretaria generale del Consiglio d’Europa, ha condannato «fermamente l’offensiva della Federazione russa in Ucraina, flagrante violazione dello Statuto del Consiglio d’Europa e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Questo è un giorno buio per l’Europa e per tutto ciò che rappresenta». A New York, il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha esortato il presidente Putin a ritirare le sue truppe e fermare «quella che potrebbe essere la peggiore guerra dall’inizio del secolo».

È la prima volta che sentiamo queste parole? No, ma è una delle poche volte che le ascoltiamo, perché abbiamo timore di perdere quello che credevamo fosse scontato avere: la Pace. Le violazioni degli accordi internazionali catturano la nostra attenzione quando si comincia a sentire il rumore dei cingolati. Ma questa strategia non ha mai funzionato. Sarà naïf, ma c’è chi pensa ognuno debba fare la sua parte costantemente: la politica indicando la strada, la diplomazia creando le condizioni perché gli accordi si firmino e si rispettino, la società civile lavorando sulle persone, sulla coscienza, sulla memoria, sugli ideali, sui diritti.

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