A cento anni dalla morte di Gianni Rodari

Si può andare a Scuola di fantasia? Secondo Gianni Rodari sì, e forse per questo ha intitolato così uno dei suoi libri. Il grande scrittore e giornalista, nato il 23 ottobre di cento anni fa a Omegna, sul lago d’Orta, aveva un’ossessione per l’educazione dei bambini, che "hanno bisogno di concepire ideali e di imparare ad amarli sopra ogni altra cosa".

L’idea era quella di chiamare i ragazzi a condividere con gli adulti la forza propulsiva della passione, intesa come "volontà di azione e dedizione", "coraggio di "sognare in grande", coscienza del dovere che abbiamo, come uomini, di cambiare il mondo in meglio, senza accontentarci dei mediocri cambiamenti di scena che lasciano tutto com’era prima".

L’idea è bella, se non fosse che "pensare in grande" è una prerogativa dei piccoli. "Si nasce incendiari e si finisce pompieri", sentenziava Dino Segre, Pitigrilli per gli amici, ma Rodari non deve aver condiviso questa visione nichilista e ha lasciato aperta una porta alla speranza. L’ha fatto con le filastrocche, veicolo dei valori dell’amicizia e della solidarietà, e con le favole, capaci di reinventare un patrimonio umanistico a misura di minorenne. Forse quando apriva a temi sociali come la conquista della libertà, la necessità del lavoro, la difesa della pace al tempo della guerra fredda e delle minacce atomiche non stava parlando proprio ai bambini, ma agli adulti che sarebbero diventati.

Magari era un invito a restare "incendiari", a perseguire un’utopia ragionevole, non proprio la fine delle ingiustizie ma almeno una società un po’ più equa. Fare i "pompieri" è facile, roba da gente matura, l’arte invece è per chi non si è dimenticato di essere stato ingenuo, continua a uscire dal sentiero battuto, a sporcarsi scartando di lato sul terriccio e qualche volta trova una pietra levigata che dalla strada principale non si vedeva. Rodari era un artista e parlava ai bambini da pari a pari.

rodari

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