L’ottantesima sessione della Assemblea Generale delle Nazioni Unite (Unga) che si aprirà a New York il 9 settembre prossimo, seguita a due settimane di distanza dal segmento più importante cui partecipano da tradizione i presidenti e i capi di Governo, si annuncia di particolare rilevanza per la maggiore, più conosciuta e ai nostri giorni probabilmente più criticata organizzazione multilaterale.
Al di là degli inevitabili aspetti celebrativi, che vedranno pressoché l’intera membership impegnata nell’organizzazione di side events commemorativi (una sessione plenaria ad hoc della Assemblea Generale, una mostra di documenti storici, compresa la Charter originale, una consistente partecipazione alla «Expo Osaka 2025», sono solo alcune delle numerose iniziative previste) sarà quello il momento più indicato per affrontare, con molta schiettezza, il tema di come il Palazzo di Vetro possa ritrovare sullo scenario internazionale se non la centralità goduta per svariati decenni dopo il secondo conflitto mondiale, una collocazione comunque qualificata.
Sia i chiari propositi dei suoi membri fondatori che gli elevati contenuti della Carta firmata nel giugno del 1945 a San Francisco impegnavano infatti la comunità degli Stati a perseguire il raggiungimento degli obiettivi della Pace, dello sviluppo, della sicurezza e del rispetto dei diritti umani, identificati come beni globali e indivisibili. Se, a 80 anni di distanza, tali obiettivi conservano intatto il loro carattere di priorità, il quesito che appare a questo punto lecito porsi è la idoneità della più inclusiva organizzazione su scala mondiale ad affrontare con successo le sfide, senza precedenti per varietà di origine e pericolosità di conseguenze, poste dal XXI secolo.
Pochi dubbi sussistono sul fatto che le crisi globali cui ci troviamo attualmente confrontati - le guerre prolungate e con ridotte prospettive di soluzione, le migrazioni di massa, i radicali mutamenti climatici, l’acuirsi delle disuguaglianze sociali, la crisi profonda in cui versa l’ordine multilaterale, le minacce di un autoritarismo dilagante - abbiano messo a nudo la urgente necessità, a New York come nelle principali capitali, di leadership determinate, coraggiose e disposte ad identificare nel dialogo e nel negoziato gli strumenti (verrebbe quasi a dire le “armi”) essenziali a cui ricorrere per portare a soluzione le numerose aree di conflitto che caratterizzano ora come ora il pianeta.
Al momento in cui queste riflessioni vengono consegnate per la stampa l’agenda dei lavori newyorkesi non appare ancora conosciuta nel dettaglio, ciò che non ci permette di tracciarne un quadro con pretese di completezza. Di almeno una tematica ad altissima sensibilità politica, il riconoscimento dello Stato di Palestina, appare comunque sin d’ora scontato l’inserimento nei vari ordini del giorno, stante la dichiarata intenzione di alcuni importanti Paesi “occidentali” (Francia, Gran Bretagna e Australia) di procedere in tal senso proprio in occasione dell’ottantesima Unga “in presenza di determinate condizioni”. Se queste ultime dovessero verificarsi e, di conseguenza, l’intendimento concretizzarsi, ne risulterebbe non solo un ulteriore aumento nel numero dei membri dell’Onu che si sono decisi a compiere tale significativo passo, ma anche un ritrovato ruolo di “pivot” per le stesse Nazioni Unite, in grado - auspicabilmente - di invertire quell’immagine di preoccupante marginalità di cui esse attualmente soffrono.
Vorremmo dedicare la parte finale della nostra analisi a un dossier indubbiamente rilevante e a un orientamento che sembrerebbe al riguardo delinearsi con crescente autorevolezza. Il “dossier” è rappresentato dal secondo e ultimo mandato del segretario generale in carica, il portoghese António Guterres, che verrà a scadenza a fine 2026. Anche a causa della complessità della procedura di nomina, sulla quale ogni membro permanente del Consiglio di Sicurezza può utilizzare il suo diritto di veto, i giochi per la individuazione del decimo “SecGen” dell’organizzazione (o l’undicesimo, se si volesse includere nell’elenco anche il britannico Gladwyn Jebb, che fra il 1945 e il 1946 vi esercitò per pochi mesi la funzione ad interim) appaiono destinati ad aprirsi, seppure in maniera non esplicita e per così dire dietro le quinte, già in occasione della imminente Assemblea Generale.
L’“orientamento” è invece da mettere in relazione alla recente presa di posizione pubblica degli ex ministri degli Esteri dei Paesi dell’America Latina e dei Caraibi (il cosiddetto gruppo Grulac, forte di 33 aderenti), unanimemente schieratisi a favore di “una” prossima “SecGen”, donna dunque, meglio ancora se proveniente dalla loro regione geografica, in modo da mettere così fine a una «protratta, ingiustificata discriminazione di genere».
A questo riguardo, già nel passato alcune autorevoli rappresentanti del sesso femminile (in particolare la norvegese Gro Harlem Bruntland, la neo-zelandese Helen Clark e la bulgara Irina Bokova) erano risultate seriamente “indiziate” per l’incarico, finendo però, alla resa dei conti, per soccombere ai rispettivi concorrenti uomini. A completamento di discorso va poi evidenziato come anche in relazione al sin qui esclusivo campo maschile, il principio della rotazione fra continenti abbia trovato una applicazione limitata, confermata dalla circostanza che la metà dei segretari generali prescelti (compreso l’attuale) provengano dall’Europa.
Su tale sfondo di ripetuti insuccessi, si tratterebbe dunque di una scelta pressoché “rivoluzionaria”, fondata sull’affermazione dei principi di Pace, solidarietà e condivisione che - secondo il sopra ricordato documento dei Grulac - una inedita “inquilina” al Palazzo di Vetro sarebbe meglio in grado di valorizzare e applicare nel contesto di una futura governance globale.
Tirando le fila del discorso, la netta scelta di campo sopra riportata appare, in linea di principio, tutt’altro che fuori luogo e, anzi, degna di adeguata considerazione. Per essere tradotta in pratica, essa dovrà tuttavia superare una serie di ostacoli non secondari, il più impegnativo dei quali sarà senza ombra di dubbio costituito dalla concorde “luce verde” da parte dei cinque membri permanenti con diritto di veto. Non potendo, come noto, presentare propri candidati nazionali, questi ultimi sono però tradizionalmente attentissimi a impedire l’insediamento nel Palazzo di Vetro di una personalità che, qualunque sia il suo sesso, non goda della loro piena fiducia e incondizionato gradimento.
Il Reggente, Marco Marsilli



Helen Clark in Iran
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Gro Harlem Bruntland


Irina Bokova