PER CHI SUONA LA CAMPANA - P20
LA REGGENZA DI PIETRO MONTI
Quando Pietro Monti fu chiamato alla guida della Fondazione Campana dei Caduti, nel febbraio del 1984, l’istituzione si trovava in una fase delicata. La lunga vertenza giudiziaria con il Museo della guerra aveva rallentato le attività, lasciando il Colle di Miravalle in una condizione di incertezza, a metà tra memoria e oblìo. Con Monti, terzo Reggente della storia dopo don Antonio Rossaro e padre Eusebio Iori, la Campana trovò una nuova direzione: non solo custode del ricordo, ma laboratorio di dialogo e riflessione sui conflitti del presente.
Il compito non era semplice. L’istituzione portava sulle spalle sessant’anni di storia stratificata. Nata nel 1924 come simbolo contro la guerra, durante il fascismo c’era stato il rischio di essere inglobati nella retorica nazionalista, ma superato quel periodo negli anni di padre Iori la Campana si aprì al respiro internazionale con la nascita del Piazzale delle Genti. Monti ereditò un patrimonio importante, a tratti ingombrante, sicuramente prezioso. Il suo obiettivo fu duplice: rendere il messaggio della Campana sempre più attuale, senza tradirne le radici, e dotare la struttura di strumenti concreti per accogliere il crescente flusso di visitatori.
La prima svolta si registrò nel settembre del 1984, a pochi mesi dall’insediamento, con il convegno «Riflessioni sulla Pace». La Fondazione, dopo anni di attività a scartamento ridotto, tornava a farsi promotrice di iniziative culturali di grande rilievo internazionale. Il dibattito mise a fuoco una questione cruciale: ogni epoca legge diversamente i propri simboli. La Campana, nata come monito contro la guerra, poteva ora diventare piattaforma per i diritti umani, luogo di educazione e incontro per le nuove generazioni. Monti ne era consapevole e sottolineava che i simboli hanno una enorme importanza nel momento in cui vengono creati, ma poi devono parlare anche alle persone di altre epoche storiche, altrimenti perdono il loro significato più genuino: «La Pace è sempre Pace, però Pace, guerra o diritti umani cambiano a seconda dei tempi, non nella loro sostanza, ma nella percezione e nella sensibilità della gente». Per questo senza rinnovamento, anche il simbolo più potente rischia di perdere efficacia.
In questa prospettiva maturò uno dei progetti più significativi della sua reggenza: l’Università internazionale delle istituzioni dei popoli per la Pace (Unip), avviata nei primi anni Novanta del secolo scorso. Con il sostegno della Provincia e in sinergia con l’Università di Trento, l’Unip portò a Rovereto un comitato scientifico di livello internazionale e un pubblico di operatori provenienti da decine di Paesi. Non era un’università in senso accademico, ma un luogo di formazione e scambio per chi lavorava sul campo nei movimenti per la Pace. Si discusse di conflitti sociali in Brasile, di guerre balcaniche, del ruolo dei media, fino alla globalizzazione e ai diritti dei popoli indigeni.
L’impatto fu notevole. La Campana si collocava in questo modo su una mappa internazionale che andava ben oltre il ricordo della prima guerra mondiale. Non mancò, tuttavia, qualche tensione. Alcuni gruppi locali chiedevano una maggiore “ricaduta” delle attività sul territorio, che non sarebbe stata garantita dall’eccessiva proiezione internazionale dell’iniziativa.
Secondo Monti, invece, proprio la presenza a Rovereto di persone provenienti da trenta Paesi era una ricchezza per la comunità, anche se non immediatamente misurabile. La tensione tra livello locale e dimensione globale accompagnò l’intera parabola della Unip.
Accanto alla formazione, la Fondazione si fece promotrice anche di ricerca e informazione. In questa prospettiva nacque l’Osservatorio sui Balcani, una risposta alle sollecitazioni che arrivavano dalle Organizzazioni non governative impegnate nei territori dell’ex Jugoslavia. Il centro di studi divenne un punto di riferimento nel monitorare i progetti, valutarne l’efficacia, raccogliere dati in un’area cruciale per l’Europa degli anni Novanta. La Campana, in questo modo, diventava anche il nodo di una rete civile che operava concretamente sui teatri di crisi.
Ma non bastava. Un altro terreno di intervento fu il dialogo interreligioso. Grazie all’impegno del vicereggente don Silvio Franch, si arrivò al grande evento della sesta assemblea mondiale della World Conference of Religion and Peace, che si svolse nel 1994, prima con l’udienza a Roma dal Papa, poi con i lavori svolti a Riva del Garda dove si incontrarono le rappresentanze di tutte le religioni del mondo. Quello fu un momento di grande rilevanza mondiale al quale la Fondazione offrì un supporto nell’organizzazione e vide riunita ai piedi della Campana una folla di credenti in preghiera. «Direi che si trattò di un grande evento», commentava lo stesso Monti, sottolineando di non sapere «fino a che punto i trentini ne compresero l’importanza, anche perché la stampa locale non fu molto sensibile e impegnata; ma il fatto di avere a Riva del Garda il Patriarca di Costantinopoli e altri leader religiosi di grande rilievo mi sembra abbia rappresentato qualcosa di veramente straordinario anche per la società trentina». «Ritengo che anche in questo caso sia difficile misurare i risultati pratici di queste iniziative», continuava, dicendosi certo che «il trovarsi insieme, il dialogare, il pregare insieme, serva. Capire poi se tutto questo riesca ad incidere nel momento dello scontro è più difficile».
Il segno della sua reggenza si vide anche in aspetti concreti, come la trasformazione di Miravalle in uno spazio aperto. Nel 1986, Anno internazionale della Pace, il concerto di Miriam Makeba aprì una prospettiva inedita: la Campana diveniva luogo di cultura e di dialogo attraverso la musica. Negli anni successivi seguirono manifestazioni dedicate all’Africa, con artisti internazionali e gruppi locali, che resero evidente come la memoria della guerra potesse convivere con forme nuove di incontro e solidarietà.
Dopo quasi vent’anni di impegno, Monti lasciò una Fondazione profondamente cambiata. Più solida sul piano organizzativo, grazie anche al sostegno delle istituzioni, ma soprattutto riconosciuta come soggetto capace di affrontare i grandi temi della Pace in un’ottica internazionale. L’eredità della sua reggenza non fu quella di aver “conservato” la Campana, ma di averla traghettata oltre la memoria della guerra, dentro le contraddizioni del presente.
La sua visione era stata chiara: i simboli vivono solo se sanno rivolgersi alle persone di ogni tempo. La Campana dei Caduti, sotto la sua reggenza, ha imparato a parlare non solo ai reduci delle battaglie, ma anche agli operatori di Ong di ogni luogo, ai mediatori di Pace nei Balcani, ai leader di qualsiasi religione, ai giovani che guardavano alla globalizzazione come sfida e rischio.
Il rintocco quotidiano della Campana, da allora, non è più soltanto un richiamo al passato, ma un invito a leggere il presente alla luce dei diritti, del dialogo e della convivenza tra i popoli.

Visita del Dalai Lama (da sinistra l’assessore del comune di Rovereto Donata Loss, il Dalai Lama e il Reggente, Pietro Monti)

Il Reggente Pietro Monti alla Cerimonia per la festa dell’Europa

Visita del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi in occasione della Cerimonia per il 75° Anniversario del primo rintocco di Maria Dolens (da sinistra, il Reggente, Pietro Monti, il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, dietro l’allora ministro della Difesa, Sergio Mattarella)

Adesione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa alla Fondazione (da sinistra il presidente dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, Lord Russel-Johnston e il Reggente Pietro Monti)