La Voce di Maria Dolens

Per offrire uno spazio di riflessione in questo periodo del tutto straordinario che stiamo vivendo, la Fondazione Opera Campana dei Caduti di Rovereto ha chiesto a Marcello Filotei, giornalista de "L'Osservatore Romano", di scrivere ogni giorno un breve articolo che prendendo spunto dall'attualità richiami l'importanza dei valori ai quali si ispira l'attività della Fondazione.
La rubrica si intitola "La voce di Maria Dolens" e viene pubblicata sul quotidiano "L'Adige" nelle pagine di Rovereto.

 

Quante volte finita la fila che in questo periodo ci divide dall'ingresso dei supermercati ci siamo sentiti dire: “Prenda questo prodotto, è italiano”. Se si tratta di formaggio grattugiato non si discute, così come tra i cannoli siciliani eviterei quelli prodotti in Danimarca, ma se volessi dei crauti probabilmente dovrei preferire quelli tedeschi. Sugli scaffali degli alimentari sembra passare una sottile linea rossa che divide l'amor di patria dal nazionalismo. Prendere il meglio, ovunque lo confezionino, che siano prodotti o idee, sarebbe un passo avanti nell'unificazione di un continente che ha una storia incredibilmente complessa. Oltre ai passionali video girati da droni che sorvolano le nostre splendide città deserte per convincerci a evitare in futuro gite in ogni aggregato umano lontano dai nostri confini, in rete si trova anche qualche ricostruzione storica di come l'Europa è diventata quello che è. La giurisdizione su ampie porzioni del continente è passata di mano in mano molte volte. Imperi disgregati, invasioni dilaganti, milioni di morti. Poi la pace. Tutta insieme, per oltre settant'anni. Non era mai successo prima. Anche a questo sono servite le istituzioni europee dove la Campana lavora costantemente per il dialogo. Avranno i loro limiti, ma questo non rende i crauti italiani migliori di quelli tedeschi. Orecchie aperte alle 21.30.

Ci sono dei momenti magici nella storia, attimi in cui le cose possono cambiare. Uno si è materializzato tre anni fa in Siria: la guerra poteva finire, c'erano tutte le premesse, si era anche arrivati a un accordo tra Stati Uniti e Russia, ma l'opportunità non è stata colta e in quella regione si continua a morire. Questione di timing. Lo ha raccontato Staffan de Mistura il 16 febbraio scorso alla Campana. Diplomatico di lungo corso, con alle spalle 21 conflitti e tre tentativi di pensionamento falliti, era uno dei negoziatori. Mediava tra le parti per conto dell'Onu. Non ha negato che in quei casi ci si abbatte, ma ha fatto proprio il motto di Samuel Beckett: “Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio”. Forse a questo servono le organizzazioni sovrannazionali, a continuare a provarci quando sembra inutile. E anche per questo la Campana gode dello status consultivo speciale alle Nazioni Unite e del partenariato al Consiglio d'Europa, perché continua a provarci. Ogni tanto anche i diplomatici si chiedono se quello che fanno sia utile, visto che i conflitti continuano a esserci. In questi casi si può prendere in prestito la massima di Dag Hammarskjöld, segretario generale al Palazzo di Vetro dal 1953 al 1961 e premio Nobel per la Pace: “L'Onu non serve per portare il mondo in Paradiso, ma per non farlo precipitare all'Inferno”. Orecchie aperte alle 21.30.

“Ci sono fiori dappertutto per coloro che vogliono guardare”, diceva Henri Matisse, e in effetti lui li trovava spesso, ce li mostrava, ed erano di colori inattesi. Li vede anche Mishaela, la protagonista di una canzone di Noa, che “saluta il silenzio desolato” con una risata, perché scorge “un arcobaleno a est” che illumina prati verdi, ed è tutto quello di cui ha bisogno. In giorni in cui la rete pullula di iniziative “per far passare il tempo velocemente”, la cantante israeliana ha provato a rallentare. Da sempre impegnata nell'utilizzo sociale e politico del linguaggio musicale, qualche giorno fa si è esibita in streaming per esprimere la sua vicinanza a persone che da pubblico di un concerto sono diventate protagoniste di una pandemia. L'ha fatto cercando di dare una chiave per interpretare quello che sta accadendo. Non è la prima volta. Il 20 luglio del 2006 con lo stesso proposito era salita alla Campana e aveva portato con se Mishaela, una donna giovane che cammina nel deserto, e che scorge alberi verso i quali incamminarsi con speranza dove tutti gli altri vedono solo dune aride. La serata era fresca, Noa cantò con voce intensa e lo fece con uno scopo. Non è Matisse, ma come lui qualche volta ci mostra fiori dove vediamo solo sabbia. Utile nel 2006, indispensabile oggi. Orecchie aperte alle 21.30.

Nelle serie televisive che stiamo divorando in questo periodo spesso c'è qualcuno in ginocchio, con le mani legate dietro alla schiena, che implora di non essere ucciso. Quasi sempre non viene ascoltato, l'uomo in piedi (raramente una donna) di solito fuma, parla lentamente, è affascinante e spietato, dice cose ironiche, poi spara. Test psicologico: chi immaginiamo di essere tra i due? Di solito quello in piedi, per il motivo banale che sopravvive, come noi. Questi tempi speciali però ci possono aiutare a cambiare prospettiva: e se fossimo noi quelli in ginocchio? Improbabile. E poi perché qualcuno ci dovrebbe sparare? Difficile, ma può accadere altro. Per esempio sta accadendo che siamo noi quelli che vengono rimandati indietro alla frontiera e anche quelli che assaltano i supermercati. Che poi non è nemmeno una cosa del tutto nuova. È passato poco più di un secolo da quando cani e italiani non erano benvenuti nei bar d'oltreoceano. E allora mettersi dalla parte di quello in ginocchio con le mani legate dietro la schiena può essere utile. In fondo la Campana a ogni rintocco ci chiede di guardare le cose da un altro punto di vista, di metterci dalla parte dei più deboli. “Cambiamo prospettiva se vogliamo cambiare il mondo” sembra dire. Stare chiusi in casa ci può aiutare a capire che non siamo sempre noi quelli con la pistola. Orecchie aperte alle 21.30.

“Ciò che è vero al di qua dei Pirenei non è spesso più vero al di là”. Lo diceva Pascal commentando l'uso di dividere gli Stati con linee immaginarie. «Si può dar cosa più spassevole di questa: che un uomo abbia il diritto di ammazzarmi solo perché abita sull'altra riva del fiume e il suo sovrano è in lite con il mio, sebbene io non lo sia con lui?». Una riflessione aspra sul ruolo del confine, quell'oggetto misterioso che nel contempo ci separa e ci unisce, e che di fronte all'emergenza di questi giorni appare ininfluente. Poi ci sono le stirpi senza terra, che proprio per questo spesso vengono dimenticate. Non dalla Campana però, che dieci anni fa ha accolto la bandiera di Rom e Sinti, che non hanno un territorio ma hanno una lunga storia. Non ci sono molti luoghi dove sventola il vessillo “di un popolo da sempre in movimento, i cui membri sono divisi da grandi distanze, eppure orgogliosi di riconoscersi in un’unica bandiera”, come disse in quell'occasione il reggente Alberto Robol. È più facile affidarsi al confine, che ci da sicurezza, ci aiuta a capire dove finiamo “noi” e cominciano “loro”, ci definisce, ci dice chi siamo, ed eventualmente ci da la possibilità di sparare a qualcuno che vive dall'altra parte del fiume. Non dal Colle di Miravalle però. Orecchie aperte alle 21.30.

"Todos caballeros". Chissà se l'ha detto davvero Carlo V durante quella visita ad Alghero nel 1541. Forse voleva offrire una ricompensa alla fedeltà degli algheresi, o magari era un grido di ammirazione per la corrida in cui vennero uccisi più di 200 animali per l'approvvigionamento delle navi in partenza. Con più probabilità era un modo per scongiurare una rivolta lusingando la folla accorsa per reclamare titoli nobiliari. Sta di fatto che chi era nobile rimase tale e gli altri, tornati a casa, scoprirono di essere ancora plebei. Succede talvolta che per risolvere un'emergenza si faccia qualche eccezione, poi però, la norma prevale. Tra qualche anno a nessuno interesserà che chi ha sostenuto la maturità nel 2020 ha avuto un trattamento diverso a causa della pandemia. Non saremo “todos caballeros”, avrà un cavallo solo chi saprà andare al galoppo, forse. Anche per questo la Campana promuove da decenni concorsi e formazione per i ragazzi. Educando alla Pace attraverso i valori, Maria Dolens ricorda che competenze e ideali devono andare di pari passo. Migliaia di giovani hanno partecipato a iniziative che li hanno spronati a scrivere, disegnare, comporre, cantare e suonare prima di percorrere il Viale delle bandiere e ascoltare il suono che ogni giorno invita a cambiare il mondo. Magari non tutto e subito, ma meglio essere pronti. Orecchie aperte alle 21.30.

Quando sarà tutto finito andiamo a Bergamo. Dovrebbe essere una bella città. Grandi architetture, storia antica, i pronipoti dei 180 valorosi che hanno partecipato alla spedizione dei Mille. Non ci sarà solo l'Atalanta. Bravi ragazzi, grandi campioni, ma non può essere tutto lì. Ci sarà qualcun altro oltre agli urlatori di contumelie antiterroniche, che poi quelli stanno ovunque, come chi pensa che sopra al Rubicone nessuno si sa divertire. Bergamo sarà piena di persone stupende, molte delle quali ora hanno perso i nonni. Quando sarà tutto finito andiamo dove non possiamo arrivare ora, non ad aiutare, quella è una cosa da gente coraggiosa, ma a prendere un caffè. Nella parte alta in mezzo ai monumenti, o in basso dove è tutto più moderno. Oppure sulle mura venete: un patrimonio dell'umanità che nemmeno sapevamo che esistesse fino a quando non è entrato sotto la tutela dell'Unesco. Quando sarà tutto finito scopriamo il nuovo in quello che pensiamo di conoscere già. Per esempio Bergamo, ma poi allarghiamo lo sguardo. Anche questo dice la Campana: “Non fermiamoci alla superficie, guardiamo al fondo nelle cose, superiamo i confini della nostra mente”. Nord, Sud, terroni, polentoni: magari il virus potrebbe contaminare gli stereotipi e farli scomparire. E poi Bergamo è pure vicina. Orecchie aperte alle 21.30

L'inquadratura è oggettivamente sbagliata, ma la foto non si può ignorare. Una brutta forma, per una volta, non cancella la sostanza, con buona pace delle agenzie di marketing. Esterno giorno. Un furgone fermo in un parcheggio qualsiasi, due persone riprese da lontano. Sono uomini, entrambi hanno la barba, indossano la stessa camicia, pregano. Piccola differenza: guardano in direzioni diverse. Uno in piedi con gli occhi a Gerusalemme, l'altro in ginocchio con il volto in direzione della Mecca. Per Avraham Mintz e Zoher Abu Jama, due paramedici del Magen David Adom di Bersabea, nel sud di Israele, è normale, lo fanno tutti i giorni: “Il virus non fa distinzioni di religione perché le dovremmo fare noi”. É come se due mondi, spesso contrapposti, si fossero dati appuntamento in un parcheggio solo perché è più efficiente fare la pausa pranzo nello stesso momento. Questa fotografia brutta, scattata da un loro collega, purtroppo sta facendo il giro del mondo. Perché non è ancora vero che due persone che pregano insieme un dio diverso fanno una cosa normale. Sarà vero quando l'immagine sparirà dai social perché nessuno la commenterà più, perché a nessuno sembrerà “fantastico”. Un'altra cosa che ci dice la Campana: “Proviamo a rendere normale una cosa fantastica”. Avraham e Zoher l'hanno fatto, sembrava impossibile. Orecchie aperte alle 21.30.

Un museo di Parigi ha messo in vendita 200.000 biglietti da 100 euro per partecipare a un'estrazione. Chi vince appende in soggiorno un Picasso. Col ricavato si costruiranno pozzi in Camerun. In Olanda qualcuno si è portato a casa un Van Gogh da sei milioni senza nemmeno investire i cento euro del biglietto. Due modi di intendere il possesso che riportano alla domanda: a che serve l'arte? La bellezza ci mette a contatto con qualcosa di superiore spronandoci a migliorare. Una cosa utile. Da oltre un decennio con il teatro, la musica, la fotografia e con altre forme creative la Campana sta riflettendo su questi temi. Peccato che ora la sede sia chiusa perché visitare la mostra “Bellum” di Paolo Aldi avrebbe aiutato a capire che il valore di un'opera è solo in quello che esprime, e che anche se ti porti un quadro a casa quella tela rimarrà comunque di tutti. A chi ha rubato il Van Gogh si può solo dire: “Dagli un'occhiata prima di consegnarlo ai mandanti, magari ti viene in mente di restituirlo”. Per il fortunato che vincerà il Picasso sarà più facile. Essendo già uno che investe cento euro con lo 0,000005 per cento delle possibilità di essere estratto, probabilmente gli basterà guardare il capolavoro da vicino quando glielo consegnano per lasciarlo dov'è. Le idee non si possono possedere, ma solo condividere. Anche questo dice la Campana ogni giorno alle 21.30. Orecchie aperte.

Certe volte la cronaca crea intrecci che nessuno sceneggiatore riuscirebbe a concepire. Dieci anni fa ad ascoltare il suono Maria Dolens c'era un elettricista che ha fatto la rivoluzione con un cacciavite. Ieri è morto un compositore che gli aveva dedicato una sezione di un Requiem. Due polacchi che da postazioni diverse hanno lottato per la libertà facendo riferimento continuamente a un terzo connazionale, che nel frattempo era diventato Papa. Lech Wałęsa è salito al Colle per ricordare che «con un metodo pacifico siamo riusciti ad abbattere uno dei regimi peggiori della storia e a unificare le due Germanie», Krzysztof Penderecki ha preso la matita e scritto il Lacrimosa del suo Requiem per commemorare i caduti nelle rivolte del 1970. Due persone legate da un filo di pace che arriva fino al Colle di Miravalle, il punto all'infinito dove si sono incontrate due vite parallele. Un esempio di quello che può fare un simbolo quando rappresenta un sentire condiviso. La pace è fatta di azioni quotidiane. Certo non è facile prendere il Nobel con un cacciavite, né costruire cattedrali musicali con una matita, ma non si tratta di essere eroi, basta essere umani. Orecchie aperte alle 21.30.

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