SEMINARIO ALLA CAMPANA
STRUMENTI DI CONTRASTO ALLA POVERTÀ
La povertà, come suggerito dall’obiettivo 1 dell’agenda 2030 delle Nazioni Unite, si può presentare sotto molteplici forme e scaturire da molteplici cause: una di queste cause è il land grabbing, che può essere definito come l’acquisizione di terre su vasta scala, principalmente nei Paesi in via di sviluppo, da parte di investitori stranieri o fondi sovrani. Tale acquisizione è finalizzata principalmente a produrre o estrarre materie prime destinate al settore alimentare ed energetico.
Normalmente questa acquisizione avviene tramite specifici accordi fra il Paese ospitante e gli investitori stranieri, che non prevedono la cessione a titolo definitivo delle terre ma un affitto o locazione per periodi estremamente lunghi (di solito 99 anni). La dimensione dei terreni acquisiti dagli investitori è spesso immensa: basti pensare che la dimensione media di un’impresa agricola in Europa è di 17 ettari, mentre alcuni terreni oggetto di land grabbing in Africa hanno riguardato oltre 20.000 ettari.
In linea teorica, gli investimenti su vasta scala presso Paesi in via di sviluppo non sarebbe negativa e dovrebbe dare benefici. In realtà, però, il land grabbing costituisce una forma di impoverimento per tutti: popolazione locale, ambiente, Paese ospitante, e talvolta persino per lo stesso investitore straniero.
Spesso i terreni concessi in locazione agli investitori stranieri sono posseduti, abitati e coltivati da parte di popolazioni locali e indigene, che non vengono coinvolte negli accordi di cessione. In diversi casi, per garantire che le imprese potessero svolgere le proprie attività su questi terreni, le popolazioni locali sono state vittima di espropriazioni e allontanamenti forzati dalle proprie terre, attuati anche mediante minacce o uso della forza. Talvolta questi atti sono degenerati in forti proteste delle popolazioni locali, anche in forma violenta.
L’espropriazione dei terreni che colpisce le popolazioni locali e indigene avviene anche grazie ad alcune peculiarità dei sistemi giuridici locali. In molti Paesi, specialmente nel continente africano, spesso non esiste un concetto di proprietà assimilabile a quello occidentale e non esistono catasti. Pertanto molte persone “possiedono” la terra da secoli in virtù di diritti consuetudinari non scritti. L’assenza di un titolo giuridico di certo facilita la cessione dei terreni alle imprese, dato che formalmente quelle terre sono “libere” e “di nessuno”.
Il fatto che la popolazione locale e indigena non venga informata o consultata prima della conclusione degli accordi Stati-imprese costituisce inoltre una violazione del principio di free, prior and informed consent sancito a livello internazionale da importanti fonti come la convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro 169, secondo la quale le popolazioni indigene devono essere consultate ogniqualvolta vengano considerate misure che li riguardino.
Spesso, i terreni coinvolti nel fenomeno del land grabbing vengono destinati a produzioni agricole intensive in forma di monocolture. Su questi terreni vengono frequentemente utilizzati prodotti chimici e pesticidi, consumando grandi quantità di suolo e di acqua. Inoltre si possono verificare gravi episodi di deforestazione, necessaria per fare spazio ai campi coltivabili. Questo porta a un significativo degrado e impoverimento del suolo, oltre a una notevole perdita di biodiversità e del patrimonio naturale e paesaggistico.
Tali effetti potrebbero essere ridotti ricorrendo a metodi di coltivazione biologici e sostenibili, ovvero introducendo a livello normativo degli strumenti di prevenzione dei danni ambientali (come le valutazioni di impatto) o sistemi di controllo durante la fase produttiva. Tuttavia, spesso i metodi di coltivazione non sono sostenibili e le leggi ambientali sebbene esistenti non sono adeguate o non vengono pienamente rispettate.
Spesso i Paesi in via di sviluppo agevolano la conclusione dei land deals e concedono notevoli benefici agli investitori stranieri, poiché attratti dalla prospettiva di uno sviluppo economico e infrastrutturale oppure a causa di pressioni politiche interne ed esterne. Questi benefici possono consistere, ad esempio, in sgravi o esenzioni fiscali o in immunità dagli effetti delle riforme in materia ambientale e sociale. Inoltre, gli stessi terreni spesso sono ceduti per canoni di locazione estremamente bassi, con procedure burocratiche minime e senza che venga garantito da parte degli investitori la cessione di parte dei beni prodotti nel mercato interno di quello stesso Paese.
L’insieme di questi benefici a favore degli investitori comporta una netta riduzione dei vantaggi che il Paese ospitante potrebbe trarre dall’investimento straniero. A questo poi si aggiungono i costi che il Paese ospitante deve sostenere per gestire le problematiche sociali e ambientali che il land grabbing può provocare.
A causa delle frizioni tra investitori stranieri, Paese ospitante e popolazione locale, specialmente in caso di proteste, ci sono stati numerosi casi in cui le attività di investimento sono state ostacolate, causando gravi danni economici alle imprese o addirittura impedendo l’inizio effettivo dei progetti.
I punti di frizione esistenti fra diritto internazionale e land grabbing sembrano molteplici.
Innanzitutto, ci sono diversi diritti umani e principi affermati in ambito internazionale che potrebbero essere potenzialmente lesi come il diritto alla proprietà e a un’abitazione, il diritto al lavoro, il rispetto della vita privata e familiare, il rispetto del patrimonio culturale e in particolare quello delle popolazioni indigene, il diritto a un ambiente salubre, sino ai diritti delle generazioni future e al principio di sviluppo sostenibile.
L’attuale diritto internazionale non prevede strumenti specifici che prevedano il divieto delle pratiche associabili al land grabbing o forme di responsabilità in capo a soggetti, pubblici o privati, responsabili di questa pratica. Inoltre, gli investitori e le imprese responsabili possono acquisire, consolidare e mantenere la propria posizione di forza anche grazie agli accordi di land deals o ad altri strumenti di diritto internazionale posti a loro tutela.
D’altra parte, il diritto internazionale attuale offre dei principi e degli strumenti che, sebbene non sempre creati specificamente a questo scopo, permettono di tutelare i diritti fondamentali violati dalle attività di land grabbing.
In alcuni casi i responsabili sono stati effettivamente condotti presso giudici nazionali e internazionali. La popolazione locale è stata supportata anche da organizzazioni non governative e i risultati di queste azioni, sebbene altalenanti, dimostrano l’esistenza di possibili rimedi giurisdizionali. Ci sono infatti degli strumenti, come la responsabilità sociale d’impresa, la due diligence sui diritti umani e la responsabilità delle multinazionali per i danni ambientali e ai diritti umani, che sono oggi al centro del dibattito e delle discussioni, non solo presso gli accademici. Questi strumenti potrebbero assicurare maggiormente la prevenzione e repressione del land grabbing che coinvolge imprese private. La recente adozione della direttiva dell’Unione Europea sulla corporate sustainability due diligence è un esempio significativo di attuazione di questi strumenti, che dovrà essere testato nella pratica ma che può essere visto con fiducia.
In ogni caso solo attraverso un impegno concreto e coordinato a livello internazionale sarà possibile affrontare efficacemente il fenomeno del land grabbing e promuovere uno sviluppo equo e sostenibile per tutti.
Mirko Camanna

