RAPPORTO DELLO GNAFC
I CONFLITTI SONO LA PRINCIPALE CAUSA DELLA FAME NEL MONDO

 

In Occidente si chiama appetito, nel mondo meno sviluppato “fame”. Ma la parola di per sé dice poco, ha bisogno per chiarire il suo significato di ulteriori specificazioni, aggettivazioni, precisazioni. Per esempio può essere “cronica”. Una fattispecie grave che si verifica quando una persona non è in grado di consumare cibo sufficiente per un periodo prolungato e quindi non può garantirsi una vita normale e attiva. Ma c’è di peggio: l’insicurezza alimentare acuta, lo stato in cui l’impossibilità di consumare cibo adeguato mette in immediato pericolo la vita o i mezzi di sostentamento di un individuo. La misurazione di queste condizioni umane è scientifica e si basa su parametri, accettati a livello internazionale, capaci di individuare le caratteristiche della cosiddetta fame “estrema”.

A latitudini come le nostre, dove sono i rischi legati all’obesità ad essere tenuti sotto controllo, la mancanza di cibo è qualcosa di molto lontano, di solito legato ai racconti dei nonni, che però a pensarci condiscono le storie sui piatti vuoti con bombe, invasioni, ritirate e resistenze. Insomma conflitti. Dove ci sono guerre c’è la fame. Da noi non si combatte, ma in altri luoghi sì, e lì la questione è attualissima e le prospettive pessime. Il numero di persone che vivono nell’insicurezza alimentare acuta e che hanno urgente bisogno di assistenza ha raggiunto nel 2020 il dato più alto degli ultimi cinque anni. L’allarme arriva dal rapporto pubblicato dal Global Network Against Food Crises (Gnafc), un’alleanza internazionale di agenzie delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea, che studiano la situazione assieme a organismi governativi e non.

L’insicurezza alimentare acuta continua crescere senza sosta dal 2017

Qualche numero chiarisce meglio la situazione. Il problema riguarda 155 milioni di persone in 55 Paesi e territori. Le ragioni sono legate principalmente ai conflitti e agli shock economici. L’aumento rispetto al 2019 è di 20 milioni, dato che solleva un forte allarme su una tendenza preoccupante. L’insicurezza alimentare acuta continua a crescere senza sosta dal 2017. Insomma il Covid ha avuto la sua parte, ma il problema è nato prima e non è stato affrontato adeguatamente.

Ma siccome nemmeno tra i poveri c’è uguaglianza bisogna andare ancora più a fondo nella valutazione della miseria. Tra i 155 milioni di affamati ce ne sono una minoranza, oltre 130.000, che vivono a un livello di insicurezza alimentare denominato dagli esperti “catastrofe”. Si trovano principalmente in Burkina Faso, nel Sud Sudan e nello Yemen. Un po’ meglio, si fa per dire, stanno altre 28 milioni di persone considerate a livello “emergenza”, a un passo dalla morte per fame. Per fortuna molte vite sono state salvate da interventi umanitari che hanno evitato la diffusione della carestia. Come al solito sono i più deboli a pagare il prezzo maggiore: nei 55 Paesi o territori colpiti da crisi alimentari e presentati nel rapporto vivono oltre 75 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni ai quali è stato riscontrato un deficit di sviluppo, più di 15 milioni sono deperiti.

Ormai non fa più notizia ma è l’Africa il continente più colpito, con 98 milioni di persone a rischio. La crisi non risparmia però altre zone del mondo come lo Yemen, l’Afghanistan, la Siria e Haiti, che condividono il triste primato di essere inseriti nelle prime dieci posizioni tra i Paesi con le peggiori emergenze alimentari registrate lo scorso anno.

I fenomeni incriminati sono sempre gli stessi da qualche decennio. Prima classificata la guerra. I conflitti sono il motivo principale che ha fatto precipitare circa 100 milioni di persone nell’insicurezza alimentare acuta, un aumento enorme rispetto ai 77 milioni del 2019. Al secondo posto gli shock economici, tra i quali si annovera anche il Covid-19, passati dai 24 milioni di persone colpite nel 2019 agli oltre 40 del 2020. Gli eventi climatici estremi hanno invece messo a rischio circa 16 milioni di persone, meno della metà del 2019.

Andrà meglio in futuro? Improbabile. «La prospettiva per il 2021 è cupa. Conflitti, restrizioni dovute alla pandemia che causano difficoltà economiche e la persistente minaccia di condizioni climatiche avverse continueranno probabilmente a essere dietro le crisi alimentari», hanno sottolineato gli esperti commentando i dati.

Tra i 155 milioni di persone a rischio oltre 130.000 vivono a un livello di malnutrizione denominato dagli esperti "catastrofe"

Si potrebbe dare tutta la colpa al virus e andare avanti come si è sempre fatto, ma in realtà la pandemia ha rivelato fragilità già esistenti nel sistema alimentare globale, ponendo l’accento sulla necessità di mettere in essere processi più equi, sostenibili e resilienti. Insomma se si vuole puntare a uno sviluppo sostenibile in grado di sfamare in maniera regolare 8,5 miliardi di persone nel 2030, occorre trasformare radicalmente un processo economico che funziona con chi ha appetito e trascura chi ha fame.

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