ACCADE ALL’ONU
RAPPORTO SUI BAMBINI CHE VIVONO IN ZONE DI GUERRA

 

Il 2024 si è rivelato uno degli anni più devastanti per i bambini che vivono in aree colpite da conflitti armati. Secondo un’analisi dell’Unicef, l’impatto della guerra ha raggiunto livelli senza precedenti, con un numero impressionante di minori costretti a vivere in condizioni di estrema vulnerabilità. Oltre 473 milioni di bambini, più di uno su sei nel mondo, si trovano in aree di guerra, mentre il numero di conflitti attivi è il più alto dalla fine della seconda guerra mondiale. Le violenze si stanno intensificando e le conseguenze per i più piccoli sono sempre più gravi.

Uno degli aspetti più allarmanti riguarda i bambini soldato, arruolati con la forza e privati della loro infanzia. In Paesi come il Sudan, il Myanmar o la Repubblica Democratica del Congo, decine di migliaia di minori vengono costretti a combattere, subendo continue violenze psicologiche e fisiche. Per loro l’istruzione è un diritto negato, non imparano a leggere e a scrivere, ignorano la storia, il motivo stesso per il quale combattono, ma vengono addestrati a usare le armi.

Le guerre stanno negando non solo il presente, ma anche il futuro a intere generazioni. Si stima che oltre 52 milioni di minori nei Paesi in conflitto non frequentino la scuola. Nella Striscia di Gaza e in Sudan, c’è chi ha già perso più di un anno di lezioni, mentre in Ucraina e in Siria, per fare solo qualche esempio, molti edifici scolastici sono stati bombardati, distrutti, occupati da gruppi armati o trasformati in basi militari.

Un altro aspetto drammatico, soprattutto nelle zone nelle quali sono in atto conflitti, è la malnutrizione infantile, che ha raggiunto livelli critici. La guerra distrugge i raccolti, blocca gli aiuti e costringe le famiglie a fuggire, lasciando i più piccoli senza accesso al cibo. Per comprendere meglio la situazione è utile fare ricorso all’indice Ipc (Integrated Food Security Phase Classification, in italiano Classificazione Integrata della Sicurezza Alimentare). Si tratta di un sistema internazionale utilizzato per misurare e classificare l’insicurezza alimentare e la malnutrizione in una determinata area geografica. L’Ipc suddivide la gravità della crisi alimentare in cinque fasi, dove la fase 5 rappresenta il livello più critico. Questa è la scansione dalla prima alla quinta: «Minima insicurezza alimentare» (le famiglie hanno accesso adeguato a cibo e nutrizione); «Stress» (l’accesso al cibo è limitato, ma non c’è emergenza); «Crisi» (crescono i livelli di malnutrizione, le famiglie vendono beni essenziali per acquistare cibo); «Emergenza» (diffusa malnutrizione acuta, alto rischio di mortalità); «Catastrofe/Carestia» (fame estrema, morte diffusa per malnutrizione e mancanza di cibo). In base a queste classificazioni nel nord Darfur, in Sudan, il 2024 ha visto la prima carestia dichiarata dal 2017. Più in generale si può dire che mezzo milione di persone in cinque Paesi colpiti da conflitti si trovano in condizioni di Ipc fase 5.

A questo si aggiungono le conseguenze dirette dei combattimenti. L’Onu ha verificato nel 2024 oltre 32.990 gravi violazioni contro 22.557 bambini, il numero più alto da quando è iniziato il monitoraggio. Nei primi nove mesi dello scorso anno, il numero di minori uccisi o feriti nei conflitti ha superato quello registrato in tutto il 2023. Gaza, Ucraina e Sudan sono tra le aree più colpite, con bombardamenti che hanno provocato migliaia di vittime tra i più piccoli.

La situazione è particolarmente grave soprattutto per le bambine, che nei contesti di guerra subiscono violenze ancora più brutali dei loro coetanei maschi. Ad Haiti, per esempio, nel 2024 i casi di violenza sessuale contro minori sono cresciuti di dieci volte. C’è poi la situazione dei bambini con disabilità, tra i più esposti sia alle violenze sia alla discriminazione, trovandosi spesso senza accesso ai servizi di base.

Oltre agli effetti fisici, la guerra ha ovviamente un impatto devastante sulla salute mentale dei minori. Crescere sotto le bombe, vedere morire i propri cari e i propri amici, vivere nella paura costante, lascia cicatrici profonde a volte insanabili. Molti bambini sviluppano disturbi da stress post-traumatico, ansia, depressione, incubi e tendono all’isolamento. Queste ferite psicologiche rischiano di condizionare il futuro di un’intera generazione, creando una spirale di instabilità che potrebbe durare per decenni e alimentare nuove violenze in futuro a opera delle vittime di oggi.

Le conseguenze dei conflitti si riflettono inoltre anche sull’accesso alle cure mediche. Circa il 40 per cento dei bambini non vaccinati o sotto-vaccinati vive in Paesi colpiti dalla guerra, il che li espone a epidemie di morbillo e di altre malattie prevenibili. Nei contesti dove è in corso un conflitto, inoltre, le infrastrutture sanitarie sono spesso distrutte o inaccessibili, e milioni di bambini restano senza assistenza medica. Questo porta a un aumento della mortalità infantile, che aggrava ulteriormente la crisi umanitaria.

Il 2024 è stato anche l’anno più drammatico per il personale umanitario, con 281 operatori uccisi. Questo ha reso ancora più difficile garantire ai bambini l’accesso agli aiuti di prima necessità, come cibo, acqua, cure mediche e istruzione, in quanto quando le organizzazioni internazionali si trovano impossibilitate a operare in sicurezza sono costrette a sospendere il loro intervento. Anche gli attacchi contro operatori umanitari, in continuo aumento, contribuiscono quindi a privare milioni di bambini dell’assistenza vitale di cui hanno bisogno.

Di fronte a questa tragedia, l’Unicef ha lanciato un appello urgente a tutte le parti coinvolte nei conflitti affinché rispettino il diritto internazionale umanitario, proteggano i bambini e garantiscano loro un futuro lontano dalla guerra. È difficile, però, ipotizzare che questo grido di aiuto venga ascoltato.

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