Nel mondo in questo momento sono attivi 56 conflitti, il numero più alto mai registrato dalla fine della seconda guerra mondiale. È il dato che emerge dal rapporto sul Global peace index, pubblicato a giugno dall’Institute for Economics & Peace. L’Indice utilizza 23 indicatori qualitativi e quantitativi e misura lo stato di Pace di 163 Stati e territori considerando tre ambiti: il livello di sicurezza e protezione sociale, la portata dei conflitti interni e internazionali, il grado di militarizzazione.

L’Islanda rimane il Paese più pacifico al mondo, posizione che mantiene dal 2008. Accanto al “capofila” ci sono Irlanda, Austria, Nuova Zelanda e Singapore. L’Italia occupa il 33° posto, davanti a Paesi come l’Inghilterra, Svezia e Grecia. Lo Yemen è tragicamente tra gli ultimi in classifica assieme a Sudan, Sud Sudan, Afghanistan e Ucraina. Il divario tra i Paesi più e meno pacifici del mondo è oggi più ampio di quanto non sia mai stato negli ultimi 16 anni. L’Europa è la regione più “tranquilla” e ospita otto dei dieci Paesi più pacifici. Le regioni del Medio Oriente e del Nord Africa rimangono quelle più colpite dai conflitti.

Su 163 Paesi analizzati, 97 registrano un peggioramento, mentre 65 hanno migliorato la loro situazione. I conflitti, evidenzia il rapporto, sono sempre più internazionalizzati, con 92 Paesi impegnati in guerre oltre i loro confini. Si tratta dei dati peggiori mai registrati dalla definizione dell’Indice nel 2008.

L’impatto economico dei conflitti a livello globale nel 2023 è stato di 19.000 miliardi di dollari. La spesa per la costruzione e il mantenimento della Pace è stata invece pari a 49,6 miliardi di dollari, pari a meno dello 0,6% della spesa militare totale.

La chiave per costruire il dialogo in tempi di conflitto e incertezza, conclude il Rapporto, è la “Pace positiva”, definita come l’insieme degli atteggiamenti, delle istituzioni e delle strutture che creano e sostengono società pacifiche

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