GIANLUCA ALBERINI

Tutti noi assistiamo a quanto accade in Ucraina, ma non solo: sono ancora tanti i conflitti nel mondo e le crisi, pandemica, ambientale, ora anche alimentare ed energetica. Tutto ciò è fonte di insicurezza e instabilità diffuse. All’ordine internazionale sembra essersi sostituito un “dis-ordine” internazionale. Cresce la domanda di punti di riferimento, a fronte di uno smarrimento, anzitutto delle persone e dei cittadini, su chi debba fare cosa.

Quasi sempre, a fronte di gravi crisi come quelle che ho citato, viene invocato l’Onu. Ci si chiede spesso che cosa faccia e soprattutto cosa dovrebbe fare, per esempio nel caso della guerra in Ucraina. Non è mia intenzione dilungarmi in una lezione di diritto internazionale, tanto più in compagnia di Professori così esperti in materia. Vorrei però soffermarmi su alcuni passaggi storici, per comprendere meglio l’oggi e, forse, provare anche a capire il futuro delle Nazioni Unite.

Quando l’Onu non risponde, è perché i complessi meccanismi che muovono l’organizzazione sono inceppati

Si potrebbe partire proprio dal nome, “Nazioni Unite”, che in principio indicava gli Stati che, durante la seconda guerra mondiale, combattevano le Potenze del Patto Tripartito (Germania, Giappone e Italia). Gli stessi Paesi si erano impegnati ad accettare i Principi sanciti dalla Carta Atlantica (concepita dal Presidente Usa Roosevelt e dal Primo Ministro britannico Churchill), che affermava: «Tutte le Nazioni del Mondo, per ragioni sia spirituali che pratiche, dovranno abbandonare per sempre l’uso della forza».

Principio in realtà che si era già cercato di attuare con l’antesignano dell’Onu, la Società delle Nazioni, nata su impulso di un altro Presidente americano, Wilson, nel 1919 – quando elaborò i famosi 14 Punti. Anche in quel caso, dopo la prima guerra mondiale, si cercava di garantire la Pace e la sicurezza internazionale prevenendo i conflitti e promuovendo il progresso economico e sociale. Obiettivo, come sappiamo, per vari motivi fallito con lo scoppio della seconda guerra mondiale. Eppure la Società delle Nazioni aveva introdotto un principio fondamentale: tutti gli Stati potevano associarsi, su basi paritarie. Si iniziava ad affermare il principio di sovrana uguaglianza fra gli Stati.

La Carta delle Nazioni Unite, che vide la luce nel 1945, lo ha riaffermato solennemente all’articolo secondo. Scopi fondamentali della Carta e dell’Organizzazione delle Nazioni Unite erano – e sono ancora oggi – il mantenimento della Pace e della sicurezza internazionali, su basi appunto di eguaglianza fra Stati, nonché lo sviluppo delle Nazioni in campo economico, sociale e culturale.

Sono questi concetti non scontati, anche se oggi potrebbero sembrare tali.

Altra caratteristica fondamentale dell’Onu è che è un’organizzazione internazionale a tutti gli effetti: è un soggetto di diritto che agisce in nome proprio, secondo regole prestabilite nella Carta delle Nazioni Unite e nella prassi successiva.

A fronte di violazioni come quella della Russia il Consiglio dovrebbe fornire risposte, eppure ne è incapace

L’architettura interna dell’Onu è complessa, ma i due organi principali sono l’Assemblea Generale e il Consiglio di Sicurezza. Rispettivamente, e per semplificare molto, si tratta di un Parlamento e di un Esecutivo a carattere globale. In Assemblea siedono tutti gli Stati membri, con poteri perfettamente identici a prescindere da dimensioni e importanza politica, economica o di altro genere. Un voto degli Stati Uniti o dell’Italia ha formalmente lo stesso valore di quello del Liechtenstein o di Nauru. Qui il principio di eguaglianza fra gli Stati trova la sua più compiuta espressione.

Il Consiglio di Sicurezza, invece, è un organo ristretto: solo 15 membri su 193 ne possono far parte. Cinque (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Russia e Cina) sono come sappiamo membri permanenti, gli altri 10 invece ruotano ogni due anni secondo le elezioni che si svolgono in Assemblea Generale. È evidente qui come il principio di eguaglianza lasci spazio ad altre considerazioni, soprattutto se si considera che i cinque membri permanenti hanno il diritto di veto e che il Consiglio ha competenza esclusiva nella risposta alle minacce e/o alle violazioni della Pace internazionale. Come spesso viene detto, il Consiglio in queste situazioni è chiamato a essere il poliziotto che interviene per isolare e condannare i trasgressori delle regole di pacifica convivenza fra gli Stati.

Si percepisce subito come, nei fatti, l’uguaglianza fra Stati sia un principio, per così dire, flessibile. Occorre del resto trovare una sintesi efficace degli interessi e delle opinioni di 193 Stati spesso molto diversi fra loro.

Mi si permetta qui di fare un parallelo con la nostra Costituzione. In essa è sancita l’eguaglianza formale dei cittadini di fronte alla legge, senza distinzioni, ma anche l’eguaglianza sostanziale.

Si prende atto del fatto che alcuni cittadini incontrano più ostacoli di altri, e tali ostacoli vanno rimossi con leggi e provvedimenti specifici. Questo discorso si può riproporre nel nostro ambito e nei rapporti fra Stati. Pur essendo formalmente tutti uguali, è evidente che alcuni Stati hanno più potere di altri e allo stesso tempo certi Stati, quelli che diciamo essere “in via di sviluppo”, hanno bisogni speciali.

L’Italia propone la creazione di nuovi seggi al Consiglio di sicurezza da assegnare a gruppi regionali

Paradossalmente, quindi, questa disparità sostanziale può agire in due sensi: sta a noi e ai delicati meccanismi messi a punto con l’Onu decidere in che direzione agisca.

L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile è uno degli esempi di questa presa di coscienza e dell’impegno a garantire un’eguaglianza non solo formale, ma anche e soprattutto sostanziale fra gli Stati, nella consapevolezza che ciò significa anche uguaglianza fra popoli e persone. Certamente si tratta di obiettivi non facili da raggiungere, anche perché manca sempre meno tempo. Si tratta però di un tracciato, di carattere globale, capace di dare una visione complessiva e di stimolare non solo gli Stati intesi come governi, ma tutta la società civile.

È questo, secondo me, uno dei punti di forza ancora attuali dell’Onu: nonostante il mondo sia radicalmente cambiato dal 1945, ancora oggi rimane l’unico foro mondiale in cui discutere di qualsiasi questione globale e provare a trovare soluzioni condivise. Oggi se ne sente sempre più il bisogno, servono risposte che spesso un singolo governo non può dare. Quando l’Onu non risponde, è perché i complessi meccanismi che muovono l’organizzazione sono inceppati.

Per questo è giusto chiedersi cosa funzioni e cosa no. L’utilizzo del veto, il meccanismo di rotazione nel Consiglio di Sicurezza e la stessa suddivisione di competenze fra gli organi delle Nazioni Unite sono tutti temi all’ordine del giorno. È evidente che, a fronte di manifeste violazioni della Pace internazionale come quella da parte della Russia, il Consiglio dovrebbe fornire risposte, eppure ne è incapace.

A onor del vero non sono mancate le iniziative alternative, anzitutto a opera dell’Assemblea Generale. Sono state approvate tre risoluzioni di condanna dell’aggressione russa e, su iniziale proposta del Liechtenstein che citavo prima, si è deciso che ogni volta che un veto blocca il Consiglio di Sicurezza, entro 10 giorni l’Assemblea si riunisca per discuterne. Si tratta di una risposta importante e che evidenzia la possibilità di trovare alternative in caso di stallo.

In Consiglio Diritti Umani, altro importante organo Onu, sono stati presi altri provvedimenti. Anche la Corte Penale Internazionale (che indaga i crimini commessi da individui) e la Corte Internazionale di Giustizia (per le controversie fra Stati) sono attive sulla crisi ucraina. Si tratta di iniziative per la cosiddetta accountability, per ricordare che nessuno può sottrarsi a quello che chiamiamo ordine internazionale basato sulle regole. Per ricordarci che nessuna azione unilaterale, secondo logiche di forza, potrà mai portare alla Pace e alla stabilità cui aspirano le Nazioni Unite.

È importante per questo che la comunità internazionale risponda con efficacia. In tal senso è giusto chiedersi come riformare le Nazioni Unite e soprattutto il Consiglio di Sicurezza. L’Italia è punto di riferimento di un gruppo di Stati molto variegato (detto Uniting for Consensus), che sostiene un approccio intermedio, a favore di un Consiglio di Sicurezza che sia davvero più rappresentativo, responsabile, democratico, trasparente ed efficace. Proponiamo quindi la creazione di nuovi seggi a lunga durata (più dei due anni attuali) da assegnare anziché a singoli Paesi a gruppi regionali, con possibilità di rielezione anche immediata. In questo modo Paesi che vorrebbero impegnarsi maggiormente, ed attualmente aspirano ad un seggio permanente (magari con il veto) come Germania, Giappone, India o Brasile, potrebbero ottenere una presenza più continua in Consiglio, garantendo però anche a tutti gli altri Stati maggiori possibilità di partecipazione.

La riforma del potere di veto è uno dei temi più delicati, anche perché serve il consenso di tutti i cinque membri permanenti. Ci sono però iniziative per responsabilizzare i membri permanenti e far sì che il potere di veto non venga abusato.

L’articolo 27 stesso della Carta delle Nazioni Unite prevede che in caso di controversie internazionali le parti in causa devono astenersi dal voto in Consiglio, ma ciò non vale per le minacce alla Pace e alla sicurezza internazionale, cioè nei casi più importanti. La Francia e il Messico hanno lanciato da tempo un’iniziativa per impegnare i membri permanenti a non usare il veto in caso di atrocità di massa e crimini di guerra.

Qualsiasi riforma dovrà comunque essere onnicomprensiva e ponderata, per tenere conto di tutti gli aspetti (come le modalità di lavoro e i rapporti stessi del Consiglio con l’Assemblea Generale) e soprattutto è necessario che ci sia un ampio consenso fra tutti gli Stati.

Per questo siamo aperti al dialogo e al confronto con altre proposte. Senza contare poi le considerazioni sull’opportunità di un seggio per l’Unione Europea, che costituirebbe un grande passo in avanti per il processo di integrazione, ma che richiede anche una forte volontà e unità politica.

Per concludere, come dicevo l’uguaglianza formale fra Stati non sempre fa il paio con quella sostanziale.

Per questo è necessario sostenere l’Onu, sia al suo interno sia dall’esterno, quale istituzione di riferimento internazionale per discutere e provare a risolvere i problemi del mondo.

Il rispetto delle regole e delle istituzioni di diritto internazionale è uno degli argini alla deriva verso l’anarchia e della legge del più forte.

È per questo che l’Italia sostiene le Nazioni Unite quale pilastro della sua politica estera e continua a proporre soluzioni costruttive, ambiziose ma anche realiste, per contribuire alla Pace e alla stabilità internazionali.

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