EVENTI & NEWS
N. 5 - Marzo 2021
In questo Numero
TRA MEMORIA E RICORDO
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ACCADE ALL'ONU
GIORNATA IN MEMORIA DELLE VITTIME DELLA SCHIAVITÙ
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ACCADE AL CONSIGLIO D’EUROPA
ETICA DELLO SPORT
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ROTTA BALCANICA. L’ORA DELLA POLITICA
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IL CONFINE. BARRIERA E PUNTO DI CONTATTO
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CICLO DI CONFERENZE SULLA STORIA DELLA CAMPANA
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ACCADDE OGGI
TARA GANDHI AL COLLE
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Tra Memoria e Ricordo
Che cosa accomuna il 27 gennaio ed il 10 febbraio? Apparentemente poco, a parte le - di norma - rigide temperature invernali. In realtà moltissimo, in quanto in seguito a Leggi della Repubblica le due date sono rispettivamente assunte a «Giorno della Memoria» e a «Giorno del Ricordo», acquisendo in tal modo una collocazione speciale, di grande rilevanza, nel calendario delle commemorazioni ufficiali del nostro Paese.
Per informazione dei più giovani, il 27 gennaio (1945) le truppe sovietiche occupavano il campo di Auschwitz, liberandovi detenuti ridotti a larve umane e iniziando in tal modo l’opera di demolizione del sistema concentrazionario nazista, finalizzato con logica criminale alla sistematica eliminazione di tutti i "non ariani". Anticipando di alcuni anni un’analoga Risoluzione Onu, con Legge n. 211 del luglio 2000 l’Italia decideva, con grande sensibilità politica, l’istituzione di tale ricorrenza pubblica.
Il 10 febbraio (1947), con la firma del Trattato di Parigi, fra l’Italia e la Jugoslavia veniva conclusa la Pace e posta così la parola fine ai tragici avvenimenti lungo quel confine, quali i massacri delle foibe e il drammatico esodo giuliano-dalmata.
Con Legge dello Stato n. 92 del marzo 2004, il nostro Paese adottava la decisione, in questo caso non senza un colpevole ritardo, di onorare il sacrificio di tali vittime e di imprimerlo a vita nella coscienza collettiva di tutti gli italiani. Accostando le due tipologie di eventi, non si intende certo ignorare l’esistenza di responsabilità distinte, così come il ben diverso numero di vittime provocate dai due fenomeni e i versanti geografici differenziati in cui gli orribili crimini richiamati dal «Giorno della Memoria» e dal «Giorno del Ricordo» si sono storicamente svolti. Quello che si vuole, viceversa, evidenziare è la circostanza che gli odi razziali, il totale disprezzo per la vita umana, le politiche di annientamento del nemico formano l’assurdo "bagaglio pseudo-culturale" di sistemi e regimi totalitari anche ideologicamente molto diversi.
Se l’Europa sembra essere finalmente libera da tali scorie (ma occorre comunque essere vigilanti, dal momento che i sanguinosi conflitti inter-etnici nei Balcani non sono così lontani nel tempo), è innegabile constatare come in altri continenti tali perversi disegni continuino a essere "scientificamente" perseguiti e spesso, purtroppo, anche realizzati. "Maria Dolens", appena ritrovata la sua voce dopo il silenzio invernale, dovrà dunque molto impegnarsi per diffondere "forte e chiaro" e ad amplissimo raggio il messaggio universale di Pace e di Fratellanza di cui è così autorevole interprete. Affido molto volentieri la conclusione di questo mio intervento alle illuminate parole del presidente Mattarella, pronunciate in occasione del «Giorno della Memoria»: «Un crimine contro l’umanità resta tale anche se condiviso da molti, aggiungendo all’infamia la colpa di avere trascinato in essa numerose altre persone».
Il Reggente Marco Marsilli



Asta in piazza
ACCADE ALL’ONU
GIORNATA IN MEMORIA DELLE VITTIME DELLA SCHIAVITÙ
«Venghino signori, venghino. Giovedì 3 agosto, asta in piazza. Novantaquattro capi in piena salute appena scaricati da un cargo proveniente dalla Sierra Leone. Trentanove maschi adulti, ventiquattro femmine e trentuno giovani in età riproduttiva. Affrettatevi».
Non erano animali, erano «negroes». La differenza era poca. Una quindicina di giorni prima della svendita qualcuno affisse un manifesto che annunciava una giornata di mercato speciale a Charleston, nello Stato della Carolina del Sud. Un secolo e mezzo dopo, nel 1920, la città avrebbe dato il nome a un ballo inventato dagli scaricatori neri del porto, che più o meno riproducevano i movimenti che eseguivano per caricare e scaricare le merci dalle navi. Quei lavoratori probabilmente erano i pronipoti dei novantaquattro «capi» venduti al miglior offerente nel 1769.
All’asta degli schiavi devono essersi presentati in parecchi, perché conveniva. L’economia era fiorente, la mano d’opera quasi gratis, i rimorsi pochi. Per interrompere il commercio di uomini e donne strappati con la violenza alle loro terre ci sarebbero voluti altri cento anni, una guerra di secessione, il XIII emendamento, e un presidente negli Stati Uniti ucciso mentre guardava una commedia a teatro.
Oggi le svendite sono finite, il razzismo ancora no. Anche per questo la Giornata internazionale in memoria delle vittime della schiavitù e del commercio degli schiavi transatlantico, istituita dalle Nazioni Unite nel 2007 e celebrata ogni 25 marzo, più che un risarcimento storico sembra un invito a non dimenticare, più o meno il monito che Maria Dolens lancia ogni giorno con i suoi cento rintocchi di Pace.
Le conseguenze della più imponente migrazione forzata della storia sono ancora sotto i nostri occhi
Peraltro le conseguenze della più imponente migrazione forzata della storia sono ancora sotto i nostri occhi. Le leggi si approvano in un giorno, è bene farlo, ma per cambiare le mentalità ci vuole molto più tempo. Negli Stati Uniti la questione razziale è ancora aperta e nei bracci della morte difficilmente si incontra un bianco che non sia una guardia carceraria. L’abolizione della schiavitù non ha abolito la discriminazione. Per sedersi su un tram dove c’è un posto libero senza badare a chi è riservato le persone di colore hanno dovuto attendere il 1955 e il “no” di Rosa Park ad alzarsi di fronte a un bianco che aveva la “priorità”. E per arrivare fino ai giorni nostri basta chiedersi se senza la presenza degli smartphone l’assassinio di George Floyd sarebbe diventato un caso giuridico o sarebbe stato derubricato a incidente sul lavoro.
Anche in Africa, poi, gli effetti della tratta non sono ancora stati superati. Tra il 1600 e il 1900 la popolazione del continente è crollata in alcune zone fino al 30 per cento. La causa del calo demografico va attribuita alla deportazione degli schiavi e alle malattie, spesso d’importazione. Ma mentre i negrieri facevano razzie nei villaggi strappando alle loro famiglie ragazzi muscolosi e giovani donne da ammassare nelle stive, i principali Paesi europei si arricchivano a scapito dell’Africa, causando prima una decelerazione, poi un ristagno e, infine, l’arresto dell’economia di uno dei continenti potenzialmente più ricchi del mondo. Secondo Rahul Mehrotra, ricercatore al Graduate Institute di Ginevra, l’Africa perde ogni anno quasi 90 miliardi di dollari (75,8 miliardi di euro), soldi che, invece di essere spesi per l’istruzione, i servizi sanitari o l’economia in generale, finiscono per ingrossare i profitti delle multinazionali o conti correnti nei paradisi fiscali.
Un’emorragia di capitali che, secondo la denuncia contenuta in un rapporto della Conferenza delle Nazioni Unite sull’economia e lo sviluppo (Unctad), è pari alla somma degli investimenti diretti esteri e degli aiuti allo sviluppo che ogni anno arrivano nel continente. «I flussi finanziari illeciti sono un problema multidimensionale, ed è molto difficile stimarne l’entità.
Per questo la cifra reale potrebbe essere molto diversa», precisa Mehrotra sottolineando che «esiste un’intera industria di esperti in ottimizzazione fiscale che aiuta le imprese a strutturare il loro business in modo da pagare meno tasse possibili. In questo caso, molti si chiedono se siamo di fronte a evasione, quindi a un’attività illegale, o alla capacità di sfruttare le carenze legislative».
Secondo i calcoli dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) i meccanismi di elusione fiscale costano ai Paesi di tutto il mondo dai 100 ai 240 miliardi di dollari all’anno in mancate entrate, pari al 4-10 per cento delle tasse globali sul reddito d’impresa.
L’Unctad informa inoltre che 40 miliardi di dollari, circa il 45 per cento del totale dei flussi finanziari illeciti provenienti dall’Africa, sono riconducibili al commercio di materie prime, soprattutto di oro. Un’inchiesta della Reuters ha confermato come ogni anno «oro per un valore di svariati miliardi di dollari» venga esportato dal “continente nero” sfuggendo alle imposte dei Paesi produttori.
In questo modo secondo gli esperti arrivano in Occidente grossi capitali che potrebbero celare il trasferimento illecito di fondi, anche se, sottolinea ancora Mehrotra, «la mancanza di statistiche affidabili sulle transazioni rende difficile determinare se le discrepanze celino davvero un illecito e quale sia la sua entità».
Lo schiavismo è finito, la segregazione pure, la discriminazione quasi, i pregiudizi insomma, lo sfruttamento no.
«Venghino signori venghino».

Un piano per “stivare” gli schiavi durante il viaggio in nave dall’Africa all’America del Nord

Sport e diritti umani
ACCADE ALL’ONU
GIORNATA IN MEMORIA DELLE VITTIME DELLA SCHIAVITÙ
Lo sport è un fattore importante nella vita quotidiana. La sua governance deve affrontare molte sfide in un mondo che sta cambiando rapidamente per evitare che vengano sollevate questioni relative al rispetto dei diritti umani.
La pratica sportiva è un diritto e la sua diffusione è un obiettivo condiviso da tutti i governi. Per questo la 16ª Conferenza del Consiglio d’Europa dei ministri responsabili dello sport, organizzata nel quadro delle attività dell’Accordo parziale allargato sullo sport, ha nei giorni scorsi adottato due risoluzioni. La prima riguarda la revisione della Carta europea dello sport. I ministri hanno sottolineato che il nuovo testo dovrebbe agevolare l’accesso alle attività sportive per tutte le fasce della società, anche attraverso investimenti in infrastrutture per la pratica dell’attività fisica di base, sia in ambiti scolastici sia extrascolastici. Hanno altresì incoraggiato gli Stati membri a sviluppare strategie sportive nazionali, nonché a procedere a scambi di migliori prassi ed esperienze.
La Carta europea dello sport, documento di riferimento innovativo per lo sviluppo delle politiche sportive in Europa, ha fornito una guida normativa in questo campo fin dalla sua adozione nel 1992 e successivo aggiornamento nel 2001 (il Codice di etica sportiva funge da complemento). Da allora lo sport è considerevolmente cambiato e si è pertanto rivelata necessaria una revisione.
La seconda disposizione prende in considerazione l’importanza di un approccio basato sui diritti umani nell’affrontare questioni relative all’integrità nello sport, quali la sicurezza e i servizi in occasione di eventi, la lotta al doping e alla manipolazione delle competizioni sportive. I ministri hanno esortato gli Stati membri a rafforzare ulteriormente la tutela e la promozione dei diritti umani in questo campo, nonché a promuovere lo sport e i suoi numerosi benefici sociali e individuali per rafforzare la resilienza della società di fronte alle crisi globali.
La sessione è stata presieduta da Lefteris Avgenakis, viceministro greco della cultura e dello sport. I discorsi conclusivi sono stati pronunciati dalla vicesegretaria generale, Gabriella Battaini-Dragoni, e da Niels Nygaard, presidente ad interim dei Comitati olimpici europei. La prossima Conferenza dei ministri dello sport si terrà in Turchia.
Giuseppe Zaffuto, portavoce del Consiglio d’Europa per l’Italia
